Clinica veterinaria "Casale sul Sile"...
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IL BUSINESS DEI CANI RANDAGI

Molte volte mi capita di sentire “strane storie” sui canili sanitari e sui rifugi per cani abbandonati.

Anche a me, Veterinario conosciuto presso il Rifugio del cane della mia città, quando alcuni anni fa, all’età di 25 anni ho fatto richiesta di adozione di un cane (quello nella foto), mi è stato chiesto di tornare con i genitori perchè firmassero anche loro per l’adozione!!??!! Non mi succedeva dai tempi delle scuole dell’obbligo!!!

Riporto alcune considerazione tratte dalla mia esperienza e da un articolo uscito nel numero 29/2008 di agosto della rivista “Professione Veterinaria” firmato Antonio Manfredi.

Vediamo alcuni numeri per capire la dimensione del fenomeno randagismo.

Gianluca Felicetti, presidente della LAV (lega anti-vivisezione) ha dichiarato che il giro d’affari del randagismo supera i 500 milioni di euro solo in Italia.

I cani abbandonati ogni anno in Italia vanno da un numero di 100 a 400 mila soggetti.

Le associazioni animaliste in Italia, considerando solo quelle che compaiono nella lista degli Enti che possono beneficiare del 5 per mille sono circa 450, più di 4 per provincia.

Bruno Mei Tomasi, presidente dell’ANTA (associazione nazionale tutela animali) ha dichiarato in un intervista al Sole-24 ore: “Esistono tante associazione di facciata che sfruttano l’animalismo per interessi finanziari e motivi localistici di posizione. Affinchè rimanga alto l’impegno economico del Comune nei confronti del canile alcuni soggetti sostengo addirittura la produzione di randagi. I loro scopi vanno totalmente contro l’interesse degli animali. Per mantenere l’attività su cui hanno investito e continuare ad accedere ai finanziamenti farebbero di tutto”.

Tornando alla mia esperienza di Veterinario voglio raccontare un altro aneddoto di lotta tra associazioni animaliste.

Correva l’anno 2004 ed io lavoravo a tempo pieno in un Pronto Soccorso Veterinario, l’Ospedale Veterinario “San Francesco” di Paese di Treviso.

Avevamo ricoverato un cane molto grave che da li a due giorni sarebbe venuto a mancare per l’aggravarsi delle sue condizione cliniche. Il cane, trovato randagio per strada, era in affido presso il Rifugio del cane di Treviso.

Con la scusa di visitare il proprio animale presente nella sala degenze una persona della quale non ricordo il nome chiese, all’apparenza senza un particolare motivo alcune informazione su quel vecchio cagnolone malandato e se ne andò senza dire nulla sulle sue volontà.

Poche ore dopo io come Veterinario curante e il Direttore Sanitario della struttura eravamo seduti davanti a due agenti della Guardia Forestale che per due ore ci interrogarono in virtù di una segnalazione avuta di maltrattamento animale commesso presso la struttura veterinaria con la complicità della direzione del Rifugio del cane.

Naturalmente la cosa si concluse in una bolla di sapone alla vista della cartella clinica e di tutte le cure che noi avevamo messo in essere per il cane e che il Rifugio del cane puntualmente pagò come sempre, ma venni a sapere che quel “cordiale signore” da mesi stava cercando con ogni mezzo di subentrare nell’amministrazione della struttura di raccolta dei cani randagi.

Continuano ad essere troppi i soldi pubblici che girano attorno ai cani randagi senza che vi sia un controllo ed una verifica su come questi soldi vengano effettivamente spesi.

Il contributo che ogni Comune riconosce alla struttura privata che ospita un cane accalappiato sul suo territorio arriva fino a 5 euro al giorno.

Senza arrivare ai casi limite dei “canili lager” che di tanto in tanto balzano alla luce della ribalta, le spese per soggetto sono sicuramente molto inferiori, considerando che le spese veterinarie di routine come vaccinazioni e sterilizzazioni sono spesso sostenute gratuitamente dai Veterinario pubblici delle Asl, che la profilassi per filariasi cardio-polmonare non viene fatta e le spese di alimentazione sono alleggerite da privati donatori.

Con un contributo medio di 4 euro al giorno, un cane fa entrare nelle casse del Rifugio 1.460 euro annui. Se un Rifugio ospitasse 300 soggetti (numeri assolutamente frequenti in città medio grandi come Treviso) la somma ammonterebbe a 438.000 euro annui. Ho sentito di annate nelle quali erano ricoverati sino a 600 cani nel rifugio della mia città. Credo che queste somme possano fare gola a persone senza scrupoli che volessero arricchirsi sulle pelle degli animali.

Qualcosa è stato fatto in Italia per ridurre il fenomeno cani randagi con l’obbligo del microchip per l’anagrafe canina e l’inasprimento delle pene per chi abbandona gli animali. La cronaca, con il suo freddo realismo, ci suggerisce che le misure fin qui adottate sono ancora insufficienti.

Forse è giunto il momento di mettere mano al portafoglio di chi gestisce il fenomeno cani randagi per vedere come vengono spesi i soldi ed imporre delle regole di buon senso.

Se è vero infatti che personalmente non ho mai riscontrato nelle situazioni di maltrattamento e non ho mai assistito all’appropriazione indebita di fondi pubblici, è pratica comune la distribuzione irrazionale delle risorse tra i soggetti ricoverati. Ad esempio capita spesso che per strane politiche di associazione vengano spesi 1.500 euro per un intervento chirurgico su un singolo soggetto quando i 300 animali ricoverati non vengono trattati con una profilassi per una malattia mortale ed endemica sul nostro territorio come la filariasi cardio-polmonare. Il problema del cane infetto se lo ritrova naturalmente l’ignaro proprietario che si accinga ad adottare il malcapitato.

Forse per questo alcuni canili sono così reticenti a dare in adozione animali e naturalmente chiusi alle adozione che non passino per l’accalappiacani, che faccia segnalazione al Comune donatore della retta. I privati che non siano più in grado di tenere un animali in casa non hanno infatti nessuna possibilità di trovare un posto che li ospiti fatte salve le pensioni a pagamento.

Non sono fiducioso che le cose cambino a breve a livello politico-legislativo, ma mi fa essere ottimista il crescente spirito animalista (come amore per gli animali e non inteso come moto associativista!) che le nuove generazioni sembrano avere molto più pronunciato dei loro padri.